di Gaetano Iodice
La Villanella, piaceva davvero a tutti, sovrani, nobili, ai raffinati proprio perché era di origine popolare, rustica, contadina, e consentiva ai "signorotti" di corte, di scaricarsi psicologicamente, dalle mille vicissitudini aristocratiche. Oltretutto, essendo di origine napoletana, (e già allora nel Cinquecento e nel Seicento, Napoli doveva evocare, nelle corti e nei salotti di tutta Europa, un che di trasgressivo) venne chiamata proprio "Villanella alla napoletana", anche quando i suoi versi non erano in napoletano, ma in italiano, in francese o in tedesco, la denominazione rimaneva tale, proprio per la sua forza evocativa tutta partenopea, e del resto fu proprio con la villanella che incominciò a prendere forma e sostanza la canzone napoletana.
Musicalmente, la villanella, è una composizione per una o più voci, fatta per essere cantata con l'accompagnamento di clavicembalo e liuto (antenato del mandolino), o di calascione (Altro liuto più grande del mandolino, a tre corde, antenato dell'odierno basso) o ancora di arpa, cembalo, tamburi e cetre. A Napoli, dunque, nel Cinquecento fu ripresa e portata alle estreme conseguenze una tendenza che già, un secolo prima, si era andata manifestando in altre città d'Italia, Firenze compresa, e avuto i suoi maggiori rappresentanti in poeti "colti" quali; Luigi Pulci, Leonardo Giustiniani, il Poliziano, Lorenzo il Magnifico e come abbiamo visto in precedenza dallo stesso, Pontano. Una tendenza consistente nel prendere a modello la poesia nata dal popolo per conseguire nuovi risultati e ottenere espressioni più libere. Questa tendenza andò precisandosi a Napoli negli ultimi decenni del Quattrocento per esplodere appunto, ai primi del Cinquecento con la villanella, detta anche villotta o villanesca.
La prima raccolta stampata di villanelle che ci è pervenuta è una riedizione eseguita a Napoli a cura di Giovanni da Colonia e reca la data del 23 Ottobre 1537; e anche se si tratta di una ristampa viene considerata l'atto di nascita ufficiale della villanella. Essa ha la peculiarità di essere di appena quattro anni posteriori al madrigale a stampa pervenutoci, che infatti è del 1533: e del resto, madrigale e villanella alla napoletana furono le due prevalenti forme di musica da camera che, in Europa, allignarono nei secoli XVI e XVII.
Conservato nella Herzogliche Bibliotek di Wolfenbuttel, questo primo "corpus" di villanelle contiene una quindicina di composizioni anonime, alcune delle quali in lingua napoletana, altre in ibrido italiano-napoletano, altre ancora in italiano. Ha soprattutto il pregio, questa raccolta intitolata (Canzone villanesche alla napoletana-primo libro-tenor) di averci fatta conoscere quella che fu la più diffusa o forse anche la più bella villanella e cioè "Voccuccia de nu pierzeco apreturo", in cui la bocca femminile viene paragonata a una pesca sul punto di schiudersi. Citata ed elogiata da grandi poeti napoletani dell'epoca, e di epoca immediatamente successiva, quali Giulio Cesare Cortese (Autore della Vaiasseide) e Filippo Sgruttendio (autore della Tiorba a Taccone), Voccuccia de nu pierzeco apreturo, venne attribuita al Velardeniello (ritenuto anche il primo cantante napoletano della storia). Poeta e musico, sotto molti aspetti enigmatico, Velardeniello, scrisse " Una storia de cento anni arreto" che susciterà studi appassionati da parte di Benedetto Croce, Bartolomeo Capasso e Ferdinando Russo. La maggior parte degli studiosi sono pressoché concordi nel ritenere che la presenza, in Voccuccia de nu pierzeco apreturo, del ritornello:
" S'io t'aggio sola,
dinto de chist'uorto,
nce pozza restà muorto
si tutte 'ste cerase non te furo"
è sufficiente a dimostrare che ci si sta avviando verso una forma precisa di canzone.
(TESTO COMPLETO)
Voccuccia de nu pierzeco apreturo,
mussillo de 'na fica lattarola,
s'io t'aggio sola dinto de chist'uorto,
nce pozzo restà muorto,
si tutte 'ste cerase nun te furo.
Tanto m'affacciarraggio da 'sti mura,
finchè me dice intra nella scola..
S'io t'aggio sola dinto de chist'uorto,
nce pozzo restà muorto,
si tutte 'sti cerase nun te furo.
E si nce saglio 'ncoppa de 'sta noce,
tutta la scorno pè 'sta santa Croce.
Ahimè ca coce, te farraggio dire
et resentire te putarraje,
ma nun auzà la voce..
Il Cinquecento fu, bisogna precisare, uno dei secoli in cui maggiormente fiorirono le stampe popolari e anche a ciò dobbiamo l'imponente documentazione prevenutaci sulle villanelle alla napoletana. Giova ricordare che la seconda raccolta e stampa conosciuta di questo genere poetico-musicali, ha il titolo di "Canzoni villanesche" e vanta la firma di Giovanni Domenico Del Giovane da Nola "maestro di cappella dell'Annunziata di Napoli", presenta un gran numero di villanelle in napoletano, ma fu stampata nel 1541, non a Napoli bensì a Venezia. Del resto la villanella alla napoletana, dovè la sua fama Europea proprio all'iniziativa di artisti e artigiani veneti (cosa impensabile ai giorni d'oggi). Esattamente del 1545 sono le "Canzoni villanesche alla napoletana" di M.Adriano Wigliaret, direttore della cappella di San Marco a Venezia. Questa raccolta venne diffusa in Europa. Per merito di un veneziano, insomma, la canzone napoletana cinquecentesca uscì dai confini dell'Italia. Importanti stampatori veneziani quali, Antonio Gardano e Girolamo Scotto e, più tardi, Giacomo Vincenti e Riccardo Amadino, seguirono l'esempio di Wigliaret e inondarono di villanelle alla napoletana mezza Europa.
Autori di villanelle, sempre "alla napoletana" ma non sempre in napoletano, andarono formandosi, a questo punto, un po' dappertutto, specie in Francia, in Germania, in Belgio. Fu in questo contesto che incominciò a operare colui che è passato alla storia come il più famoso autore di villanelle alla napoletana: Orlando di Lasso.
Non solo non era napoletano, questo padre della canorità napoletana, ma non era nemmeno italiano. Nacque infatti a Mons, Belgio occidentale, nel 1520 o 1532, l'anno di nascita è incerto, più certo quello della morte, avvenuta a Monaco di Baviera, Germania nel 1594. Autore di salmi, mottetti e madrigali, autore soprattutto di musica sacra, Orlando di Lasso venne in Italia al seguito di Ferdinando Gonzaga e vi rimase dal 1544 al 1555. Chiamato a Napoli dal marchese Battista d'Azzia della Terra, che gli conferì l'incarico, con lauto compenso di, "musicista domestico", Orlando di Lasso allo scopo di intrattenere gli ospiti del suo datore di lavoro, scrisse e musicò un gran numero di villanelle. Gliene sono state attribuite non meno di 2237, non tutte in napoletano naturalmente. Ma fra quelle in napoletano è particolarmente nota "S'io fossi ciarlo";
(TESTO COMPLETO)
S'io fossi ciaolo e tu lo campanile,
io spisso spisso te vurria montare,
tutto lo juorno,
tutto lo juorno po' vurria cantare!
E sempre mai saltare
e spisso spisso a te vasare,
e poi la sera nel pertuso entrare!
Notissime anche, fra quelle in dialetto napoletano, 'Sto core mio, Tu tradetora, Saccio 'na cosa, No giorno t'aggio, Catalina apri la finestra.
A insegnare la lingua napoletana a Orlando di Lasso fu, sembra, Giovanni Domenico Del Giovane da Nola, poco prima menzionato. Insomma tirando le somme, si può ben affermare che la villanella alla napoletana dovè il suo successo europeo ad alcuni stampatori veneziani e a un artista belga.
Giovan Battista Del Tufo, napoletano, rampollo di famiglia aristocratica nel 1588 con questi versi si espresse a proposito dei napoletani e della loro propensione al canto:" La sera al tardi, accompagnati o soli, paion tanti cardini o lusignuoli, che in queste parti o quelle, s'odo cantar nuove arie e villanelle."
Del Tufo nel 1588 di ritorno dalle Fiandre dove si era fatto onore nell'armata di Filippo II, pubblicò a Milano, peraltro già da tempo dilagante di villanelle alla napoletana, un volume intitolato "Ritratto delle grandezze, delicatezze e meraviglie della nobilissima città di Napoli". E in questo libro non perse mai occasione per lodare le villanelle e i suoi autori e interpreti.
Del resto quando Del Tufo, stampò questo volume, la villanella alla napoletana era nel pieno del suo splendore. Attraversava una stagione felice, per la verità, l'intera Napoli. Caduta fin dal 1502 sotto il dominio spagnolo, essa si era andata maggiormente popolando: da 120 mila abitanti era diventati ben 200 mila; inoltre durante i ventun anni di viceregno di don Pedro di Toledo, cioè dal 1532 al 1553, la città aveva assunto, da un punto di vista urbanistico, quella forma che grosso modo conserva tuttora. Si affermarono in quel periodo e nei due o tre decenni successivi, i maggiori autori di villanelle. Naturalmente molti di essi vivevano in altre città italiane, come Venezia o Milano, o addirittura in altri paesi, come Francia, Belgio, Germania, ma ciò semmai sta ulteriormente a testimoniare il crescente favore che la villanella alla napoletana aveva incontrato. Bianca Maria Galanti, uno fra i maggiori studiosi di questo genere, cita fra gli altri, i nomi di, Giovanni Leonardo Primavera, pugliese, Francesco Mazzoni, abruzzese, Giacomo Gorzanis, triestino, Giovanni Zappasorgo, trevigiano, Pompilio Venturi, senese, Ludovico Agostini, ferrarese, Giovanni Ferretti, anconitano, nonché i belgi, Jean de Marque, Giaches de Wert. Quasi tutti maestri di cappella, quasi tutti di condizione sacerdotale, questi autori di villanelle non perdevano occasione per sottolineare che quella loro attività era da considerarsi svolta quasi per scherzo, nei momenti di ozio: Il che non era affatto vero. C'è da considerare che molti di questi musicisti erano intimoriti dall'austera figura di Giambattista Della Porta, autore delle prime commedie napoletane (ancorché giocate in una sorta di plurilinguismo) oltre che scienziato dai molteplici interessi.
Ebbe fama tra i tanti compositori di villanelle, Baldassarre Donato, nato a Venezia del 1530, morto nel 1603. Allievo di Cipriano de Rore, vale a dire di colui che i contemporanei ritennero il maggior creatore di madrigali, Baldassarre Donato fu maestro di canto nel seminario di San Marco e li poi, succedendo a Gioseffo Zarlini, maestro di cappella. Autore di mottetti e di musica sacra, Donato pubblicò a Venezia del 1550 presso lo stampatore Gardano, il "Primo libro di canzoni villanelle alla napoletana" il cui successo è testimoniato dal fatto che ebbe quattro edizioni, l'ultima delle quali nel 1558.
E' a questa raccolta che appartiene "No pulice" una villanella tuttora celebre:
(TESTO COMPLETO)
No pulice,
No pulice, m'he entrato nella recchia
che notte e ghiuorno me fa 'mpazzire.
Nun saccio che, nun saccio
che me fare!
Corro in qua
corro in là,
piglia a chesta, piglia a chella,
damme soccorso tu
faccia mia bella!
Non poche fra le più eleganti villanelle alla napoletana di questo periodo sono considerate, dagli esperti, "opere di ignoti".E' il caso, questo, della celeberrima "Villanella ch'all'acqua vaje, che, appunto viene indicata solitamente di "incerto", in riferimento a un documento del 1566:
(TESTO COMPLETO)
Villanella ch'all'acqua vaje,
moro pè tte e tu nun lu saje,
ahimmè, ahimmè!
Ch'io moro mirando a te!
Quanno vaje cu la lancella
pari riggina e nun villanella,
ahimmè, ahimmè!
Ch'io moro mirando a te!
Nun m'importa d'essere nato,
'mmieze a 'nu bosco o aggrazziato,
ahimmè, ahimmè!
Ch'io moro mirando a te!
Alcuni anni fa, c'è da precisare, è stata scoperta nella biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, una raccolta veneziana di villanelle, risalente al 1570 e curata da Giovanni Leonardo Primavera, in cui "Villanella ch'all'acqua vaje" è attribuita a Giovanni Leonardo dell'Arpa. Questo dell'Arpa (da non confondere col Primavera, come è accaduto da parte di diversi studiosi, Benedetto Croce compreso) fu, oltre che musicista, interprete raffinatissimo di villanelle. Lo lodarono, in termini nostalgici, molti poeti del secolo successivo, tra cui Giambattista Basile.
Col passare del tempo la villanella alla napoletana andò migliorando in tecnica ma impoverendosi in purezza. Si cercò di tenerla in vita con le "tramutazioni" in pratica nient'altro che parodie, quindi rendendole ballabili, ma il declino fu inevitabile. L'ultimo testo a stampa di villanelle, attualmente conservato al British Museum di Londra, fu impresso a Roma, da Vitale Moscardi, nel 1652 e contiene esattamente 46 villanelle. Con la data del 1664, la villanella scompare totalmente dai testi a stampa. La sua vicenda avrà il suo definitivo suggello da un gruppo di musici napoletani, quali Giovanni Maria Trabaci, Andrea Falconieri, Francesco Lambardi, Donato Antonio Spano e Giovanni Domenico Montella, tutti appartenenti alla Reale Cappella di Napoli.
Tra le testimonianze storiche della villanella alla napoletana ricordiamo quella di Giulio Cesare Cortese nel suo "Viaggio a Parnaso, pubblicato nel 1621. Nella quarantaduesima ottava del suo primo canto, il Cortese immagina che, alla corte di Apollo, si siano riuniti alcuni napoletani per eseguire un concerto, e cosa suonano questi napoletani? Naturalmente una villanella. (Un po' come avvenne poi nel 1928, nella canzone firmata "Parente-E.A.Mario" Dduje paravise, in cui due maestri di canzoni napoletane eseguono il loro repertorio in paradiso d'avanti a San Pietro; Chi sa se l'autore dei versi Ciro Parente, abbia intenzionalmente ripreso la storia del Cortese oppure sia stato solo un caso).
Anche Giambattista Basile nel suo "Pentamerone" o Cunto de li cunti, uscito postumo nel 1634, rende omaggio alla villanella: nella quinta giornata della sua opera, Basile immagine infatti che, una certa Zeza sia costretta a cantare, per penitenza, una villanella alla napoletana.
Anche l'abate Ferdinando Galiani, nel suo "Dialetto Napoletano" uscito nel 1779, parla di villanelle, specie di quelle che erano in voga nel 1614.
Resta da dire che oggi, la maggior parte di quello che si sa sulle villanelle alla napoletana, lo si deve al tedesco Emil Vogel, il quale sulla scorta di una ricognizione in tutte le biblioteche pubbliche e private d'Europa, nel 1892 pubblicò una monumentale opera. Fu così che la villanella alla napoletana si giovò di uno studio alla tedesca.